Si tratta per Manet di attualizzare Tiziano (così come sarà di Goya) su un contemporaneo che non sarebbe aulico, ma che si mostra tale. La prostituta Olympia si fa pittura, ma al contempo essa non è qui, nel mondo reale e non è nemmeno nel mondo della pittura. Olympia non ha precedenti, non può appoggiarsi a nulla. E come tale si appoggia al niente. Nasce. Si tratta di uno slittamento, un’inesistenza che mostra il presente che si nega. Il presente è ora totalmente sul piano del linguaggio. Linguaggio moderno.
Bataille (lo scrive Yves Bonnefoy a pag 34 de L’informe – Bruno Mondadori Editore) sottolinea di Olympia il suo deludere un’attesa, una nudità lasciva riproposta non lascivamente, un campo negato, una frustrazione che è uno spostamento di senso.
Warhol parlando del suo video Blow Job sosteneva di aver realizzato un video che fallisce tutti i target: si vede troppo per poter appartenere al mondo degli intellettuali, non si vede abbastanza per poter appartenere alla pornografia.
Viene in mente Courbet, con cui andiamo vicino al punto: anche lui cerca una modernità nel basso, intendendolo come quotidiano, come reale sgombro, povero, ma scegliendo questa strada di analisi mancheremmo di poco il punto per eccesso di ortodossia. Pur cercando una visione profondamente contemporanea, l’immagine di Courbet non capisce la modernità nascente in Manet. Non capisce il campo extra-ordinario del mondo sensibile. Lo sbalzo di Manet è di senso, non di tema e non di modo, non (solo) di resa pittorica, non (solo) di argomenti, non (solo) di stile.
Olympia ha già un carattere di operazione. Nel suo essere mentale e non solo fisica porta con sé più che un barlume di frustrazione, una sorta di paradossale scudiscio dato dalla realtà cruda. (che forse non esiste, ma potrebbe, Olympia, fisica, lo è anche, non volteggia tra Zefiro e le fate. Qui si dileggia la pittura.
Sempre per Bataille (pag 9 de L’informe), Manet uccide la vittima senza dimenticarla. Come in ogni sacrificio la vittima è importante, non è una comparsa, è il perno della trasformazione. Nessuno può uccidere la vittima sacrificale. Altro paradosso. Essa deve morire come deve morire. Senza di lei solo alambicchi e desideri vani. Manet allora prende Olympia e la porta fino al suo livello importante: martirizzata essa ora si erge, la sua trasformazione apre mondi.
Cinico tv, che in qualche modo proviene da Anche i nani hanno cominciato da piccoli, sembrerebbe appartenere piuttosto alla crudezza di Courbet, ma sarebbe un Courbet perso di senso, popolarmente cinico (come lui non era). Nella visione di Ciprì e Maresco è adesso e qui che l’umanità si è degradata, il mondo è finito, le donne non esistono più. Di Courbet, Cinico Tv capisce la freschezza, la verità, la crudezza. Ma è da Manet che acquisisce la possibilità di volgere il senso della cosa altrove, di sacrificare il soggetto, di farne tormento e visione. Tutto questo ovviamente portato ad un livello degradato e post-atomico impossibile da pensare precedentemente. L’affinità è infatti puramente nella scoperta della possibilità informe della realtà.
Herzog infatti è un esempio migliore, poiché tiene ancora il punto con il flusso della vita. Ciprì e Maresco lo perdono.
Olympia tuttavia era ancora altra cosa ancora. Spostiamola nel suo tempo; essa è una nuova realtà che si erge sopra tutto e tutti come gesto della mente, apertura fin surrealista. Ma se il surrealismo apriva alla mente mantenendo, anzi generando simboli, e se l’espressionismo astratto stesso terrà il punto della sensazione e del sensibile nell’astrazione di questo groviglio, con Olympia scopriamo altro: che esiste un’apertura della mente che è un’abbandono, che è in un torbido (nel senso di non liscio, non puro) nascosto dall’inconscio. Qualcosa che non affiora per simboli chiari, ma come un magma, una lascivia dentro all’eleganza, una solitudine dentro all’esibizione.
Non esattamente uno sputo della mente ma i meandri, una crasi tra bellezza e lirismo, la bellezza del mondo non lirico. L’aulico dello sporco. Olympia ti guarda irriverente negli occhi, nuda e riverita, non nasce da conchiglie del mare ma viene dalla strada e nasce dalla mente, da un luogo del pensiero possibile e forse necessario. Un luogo cercato, poesia quasi pasoliniana, ma in realtà addirittura felliniana della vita.