… questo cinema di Santini che sembra timido, che sembra facile,
che sembra ripetuto in un gesto minimale, è vicino al punto
in cui la colossalità del cinema coincide con la sua minimalità,
la vitalità del cinema coincide con la sua mortalità costante.
Enrico Ghezzi

Autore del tempo che scorre, e che si ripropone dentro ad una pellicola, come rimanenza, come qualcosa che si attacca alla mente e alla pupilla e procede.
Noi scorriamo come scorre la vista e come scorre la pellicola all’interno della bobina.
Vediamo, non visti, la nostra stessa vita passare.
Non un video diario, alla Mekas, in cui poco o nulla turba il passare del giorno, quotidiano nel suo essere vissuto, ma piuttosto uno sguardo sulla vita, su qualcosa che accade e che, accadendo, passa, e ci ingloba.
Non il clima che passa, alla Monet, su un pretesto immobile. Il clima casomai, passerebbe su noi che siamo nel tempo.
E no, neppure il nulla del tempo sul quotidiano impero, magari dell’Empire di Warhol. Il minimale muoversi delle cose in Santini ha emozione e pare ricordarsi di se stessa, girandosi attorno.
Piuttosto la poesia, semplicemente. Ciò che siamo, ciò che domani diremo, ciò che siamo stati ieri.
La poesia alla Montale, alla Ungaretti, la poesia, dei cieli, dei volti, dei vetri e delle stazioni.
Fragilità della poesia stessa.

Dal sito di Mauro Santini:
Enrico Ghezzi

Piccole santità, piccole qualità, o l’uomo senza qualità nè santità… Quasi tutto, quasi nulla, ovvero la maggior parte dell’opera di Santini, ne uso solo il cognome perché davvero il suo è un cinema di santini, di sparpagliamento di ricordi non suoi; trovo che visto così compattamente il suo cinema ci obblighi a superare l’idea facile del frammento (oppure delle pagliuzze di amianto che fanno bene perché proteggono dal fuoco troppo acceso, ma poi fanno malissimo, lo sappiamo), ma non sto dicendo che sia un cinema protettivo, autoprotettivo o peggio autolesionistico (in modo amiantico). No, credo che il cinema di Santini, che proponiamo ossessivamente nella sua lieve ossessività, un’ossessività lieve che sembra lontana a volte dall’intensità che sembriamo favorire in tutti i modi, eppure questo cinema di Santini che sembra timido, che sembra facile, che sembra ripetuto in un gesto minimale, è vicino al punto in cui la colossalità del cinema coincide con la sua minimalità, la vitalità del cinema coincide con la sua mortalità costante. Questa è la lezione, non che si debba trarre, che si può trarre… e comunque va avanti da solo il cinema, quello di Santini come tanti altri, ed è un cinema che incontriamo continuamente poi, dopo averlo visto in questo simulacro, lo incontriamo nella vita quotidiana, anche quando la nostra vita quotidiana è quella di vedere un film di Santini, per esempio, o stanotte vedere quasi tutto quasi nulla di Santini. Allora, non si vuol fare di Santini un eroe, perché lo è già; chiunque ingaggi una sfida al cinema, ingaggi una lotta col cinema, che annulli il tempo del cinema, è di per sé un eroe, è di per sé vicino a quello che il cinema è in maniera così flagrante che ce ne accorgiamo rarissimamente, ovvero al fatto che tutto il cinema è uguale, ma non è uguale perché una cosa vale l’altra, nulla vale forse, o tutto vale, ma perché il cinema è una forma di vita più che una forma d’arte, una forma come una curvatura, un bicchiere immenso di cui non vediamo la fine, trasparenza nella trasparenza, quasi impercettibile, però questo è il cinema. Il cinema è una cosa che unifica tutto il mondo, in un certo senso, cioè lo porta in uno stato unico, che poi se anche il cinema scomparisse, nelle sue sale, nei suoi testi, nei suoi poveri film, nei suoi grandi capolavori, avremmo già toccato il cinema, e chi tocca il cinema muore perché la scossa tra l’altro non la si sente neanche (un po’ come l’amianto), poi dopo venti trenta cinquanta duecento settecento duemila diecimila anni, ci se ne accorgerà che il cinema aveva già vinto… Buona visione.

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