Installation view Fabio Barile – Works for a Cosmic Feeling, 2021. Courtesy of the artist and Matèria, Roma. Photo Roberto Apa
Tra gli archi e i pilastri di Matèria, aloni di luce conducono lo sguardo nel buio assoluto, lungo una gradazione di grigi sordi e via via più chiari, fino al bianco accecante. Se nei primi secondi di percezione la misura dello spazio pertiene alle capacità dell’abitudine, decentrarsi tra i diversi punti di vista della mostra fotografica di Fabio Barile manifesta il carattere illusorio di qualsiasi percorso lineare e progressivo.
Nell’allestimento di Alessandro Dandini De Sylva, i duecentoventinove scatti in bianco e nero, proiettati su cinque pannelli, si susseguono a ritmo lento e scoordinato, mentre i fasci di luce intercettano le ombre dei visitatori. In questo dialogo disorganico e potenzialmente infinito, ogni pausa corrisponde a una fotografia: una sospensione che dissipa i confini spazio temporali dell’ordinario.
Works for a cosmic feeling mette in scena un archivio di esistenze che si trasforma in un multiverso in perenne espansione. Paesaggi sconfinati e infinitesimali, isolati e ingranditi o colti parzialmente da un obiettivo laterale, sono frammenti di mondi micro e macroscopici, generati da uno scontro esplosivo dell’artista con la realtà che ne ha frastagliato i contorni. Sono piccole visioni che racchiudono in sé tutto, tentativi sospesi di penetrarne la complessità.
L’obiettivo fotografico dell’artista si fa microscopico a telescopico, mentre la regia visionaria del curatore realizza nello spazio della galleria il processo di un montaggio cinematografico casuale e a più canali. Insieme muovono senza meta il punto di vista dell’osservatore, lasciando che si soffermi sulle impercettibili differenze che esistono tra macro e microcosmo, sui dettagli interstiziali in cui si condensa e si spalanca ciò che la percezione ordinaria non comprende. La mostra si dispiega in un ritmo definito, in un eterno andare e venire dello sguardo che alterna il tempo dilatato dell’attesa tra uno scatto e l’altro e quello istantaneo degli incontri imprevisti tra le immagini.
Ciascun frammento fotografico è un monumento che conserva in sé la memoria del sistema di partenza, divenendo al contempo una forma autogenerativa, capace di proliferare in organismi sempre nuovi. Apparenze in luoghi e tempi passati, ininterrottamente ri-prodotte qui e ora, esprimono le “emergenze significanti” di cui parlava Aby Warburg: rivelazioni parziali di un senso perennemente rinnovato.
Il processo che attraversa l’archivio di Barile è quello che Walter Benjamin definirebbe “telescopage del passato nel presente”: le sintassi interne delle immagini vengono esplicitate e assimilate in incontri che creano continui cortocircuiti sovversivi, capaci di trasfigurare lo spazio espositivo e percettivo. Emerge un sistema di relazioni e tensioni formali comune alle immagini archiviali, una sorta di “pensiero figurale” – per dirlo con le parole di Francesco Zucconi – che ne garantisce la costante riattivazione.
A ben vedere, la vivacità sempre attuale delle immagini fotografiche deriva dal loro carattere per definizione frammentario e quindi parziale, critico e attivo e pertanto capace di tentativi che possano interpretare l’immane complessità di ogni presente. “L’opera d’arte si augura uno sguardo affilato che, nel riprodurre, disgreghi” e, al contempo, una visuale aperta e fluida che alimenti quel “sentimento oceanico”, descritto da Romain Rolland, che ha guidato l’esplorazione di Barile.
Così, in Works for a cosmic feeling la forma sfocata di una molecola di idruro di elio si scioglie in un misterioso buco nero, mentre piccoli esperimenti si trasformano in spettacoli geologici come la compressione tettonica e il campo magnetico terrestre. Lo sguardo affettuoso dell’artista naviga tra i corpi celesti della schiena di sua moglie, sconfinando in uno spazio siderale senza tempo.